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RECENSIONE

Inizio con "Anchorhead" a redigere questa rubrica di recensioni per IFItalia. Naturalmemente voglio evitare di rovinarvi il gioco; eviterò cautamente di nominare oggetti e personaggi, e le mie considerazioni sulla trama si terranno sempre o a un livello generale, o nomineranno esplicitamente dettagli non essenziali al gioco. Tuttavia, scrivendo in questo modo, a volte si risulta un po' goffi: ma è per il vostro piacere.

"Anchorhead" di Michael Gentry, release 2.

Vi piace provare paura? Vi piacciono i villaggi depressi tipo quello di "Uccelli", o quello del "Porto delle Nebbie" di Simenon in cui nessuno parla, piove sempre (ma sempre di pioggia sottile), e si intuisce che c'è qualcosa di terribilmente storto ma, neanche a dirlo, non si sa cosa? Vi piacciono le storie di degenerazione atavica familiare alla Lombroso? E i sacrifici umani? E i ritratti con gli occhi che si muovono? E le chiese murate?
Ecco, adesso mi fermo, ma vi ho dato più di un buon motivo per provare Anchorhead, il tormentato lavoro Michael Gentry ("Quando ho finito ho scoperto dei capelli bianchi che prima non c'erano"). Lo spirito di Lovecraft aleggia dovunque in questa lunga avventura. Il protagonista è di sesso femminile. Cosa non nuova nell'IF contemporanea (l'altro esempio illustre è, naturalmente, Christminster), che pone sempre interessanti risvolti psicologici per noi maschiacci, quando giochiamo.
Catapultata nel villaggio portuale depresso a nome Anchorhead, la povera ragazza fresca di nozze e di fede al dito deve affrontare tanti e tali imprevisti da lasciare senza fiato, senza poter usufruire dell'aiuto dell'amato maritino, sempre più perso dietro impenetrabili paranoie. Qui, più che in altri capolavori dell'IF contemporanea quali Curses, o Jigsaw, giganteggia e convince appieno quella componente così difficile da definire ma che costituisce sempre una parte fondamentale delle avventure testuali post-Scott Adams: l'atmosfera. Anchorhead fa veramente paura. La gradualità con cui si penetra mano a mano nelle viscere del mistero è esemplare. Le NPC hanno comportamenti coerenti e comprensibili, anche se talora limitati. Si nota che l'autore ha fatto grossi sforzi per dotare i personaggi di risposte e azioni credibili praticamente a tutti gli argomenti e oggetti del gioco. La sensazione del tempo che passa è resa con buon realismo e rende il gameplay divertente e coinvolgente. L'interazione col mondo esterno è implementata in modo solido, e anche se non ci sono diramazioni di sub-trame, la sensazione di libertà nei movimenti è spesso enorme; il contrasto che questo provoca con la ristrettezza morale e sociale dell'ambientazione crea un piacevole stridore che fa molto gotico.
Le motivazioni che stanno dietro le scelte che il giocatore deve prendere sono (quasi) sempre logiche; di conseguenza gli indovinelli che qua e là si presentano non sono mai troppo difficili. Personalmente mi sono bloccato per ore sul primissimo, che in realtà, visto in retrospettiva, è di una semplicità sconfortante.
Tuttavia, nonostante queste ottime premesse, Anchorhead mostra anche dei limiti a volte grossolani, che purtroppo vanno aumentando nel corso del gioco.
Innanzitutto, l'aderenza al modello Lovecraftiano è qua e là troppo scoperta, e alcune trovate non brillano per originalità. Avrei preferito un po' più di Poe. L'autore sembra sempre tentato di introdurre degli stereotipi non strettamente essenziali; si nota spesso l'influenza sulla trama dell'appiattimento verso il basso di cui è responsabile in gran misura la fabbrica di balle numero uno del pianeta: Hollywood. Il finale, soprattutto, delude. Naturalmente non vi spiego nulla, ma non mi pare di rovinarvi niente se vi anticipo che è inferiore al resto dell'avventura.
Paradossalmente, uno dei bugs per i quali l'autore si è scusato pubblicamente costituisce uno dei maggiori punti di forza (anche se ovviamente non voluto!) del gioco. Penso sia un caso unico. In breve, si tratta di questo: un oggetto, che è fondamentale per proseguire nell'avventura in realtà è inutile: se Anchorhead fosse il mondo reale, se ne potrebbe fare a meno e non cambierebbe nulla.
Come ho detto, questa situazione nasce da un errore, non nel codice ma nella pianificazione della trama. Ma qui il caso si prende una rivincita e premia l'autore del gioco anche oltre i suoi meriti. Questo dell'oggetto apparentemente fondamentale ma in realtà inutile è infatti uno dei principi della suspense. Il grassone pavido, Hitchcock, chiamava l'oggetto essenziale-inutile "MacGuffin", e lo metteva nei suoi film come il prezzemolo, con effetti di varia e gratificante sorpresa. Michael Gentry non è Hitchcock, ma sa scrivere bene, e a quanto pare sa indovinare i bugs giusti.
Quest'anno Michael ha partecipato anche alla IF-competition, con Little Blue Men, un lavoro meno ambizioso, sugli orrori (e te pareva) della burocrazia. L'ho appena finito, e mi pare di poter dire che ha meno limiti ma anche meno fascino del suo lavoro precedente. Vi consiglio quindi di provare prima Anchorhead, e magari di dare un'occhiata in seguito a Litle Blue Men.



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